
Definizione:
L’epicondilite è stata rinominata ultimamente “Epicondilalgia” poiché si tratta di un disturbo degenerativo muscolo-tendineo dell’ apparato estensore del gomito più che di un processo infiammatorio.
Anatomia essenziale:
Il gomito è la regione articolare che unisce l’ omero alle due ossa dell’ avambraccio, radio ed ulna. L’ articolazione del gomito è suddivisa in 3 articolazioni che cooperano nei movimenti: omero-ulnare, radio-ulnare prossimale e omero-radiale che è appunto un condilo. Qui si inseriscono i tendini interessati, estensore radiale breve del polso ed estensore comune delle dita della mano.
Eziologia e fattori di rischio:
L’epicondilite è detta anche “gomito del tennista” in quanto è comunemente riscontrata in persone che praticano sport, in particolare tennis e golf ma in genere in tutte quelle attività che provocano ripetuti sovraccarichi dei tendini prima citati. Le continue sollecitazioni traumatiche ed il sovraccarico determinano la distruzione progressiva della struttura interna del tendine e la degenerazione di cellule e matrice. Alla scarsa microcircolazione locale consegue un’aumento della sintesi immatura di collagene di tipo III facendo degenerare il tendine ed impedendone la guarigione.
L’età comune di insorgenza dell’ epicondilite è tra i 40 e 60 anni. Più frequentemente sembrano colpite le donne degli uomini.
Quadro clinico:
La sintomatologia si sviluppa gradualmente, da un lieve dolore si può passare ad un dolore più importante localizzato in corrispondenza dell’epicondilo laterale o irradiato lungo l’avambraccio verso il polso. Lo stimolo doloroso man mano scompare a riposo in condizioni di completa distensione e rilassamento muscolo-tendineo. Si associa perdita di forza e dolore durante la presa o i movimenti di torsione. Con il tempo si può verificare rigidità mattutina e calcificazioni . Il braccio dominante è colpito con maggiore frequenza. Un episodio di epicondilite ha una durata media tra i 6 mesi e i 2 anni, periodo dopo il quale la maggior parte dei pazienti recupera mentre altri possono essere refrattari ai trattamenti.
Diagnosi Clinica: dal punto di vista clinico il sintomo più comune è il dolore locale, talvolta accompagnato da tumefazione, che compare sull’epicondilo nell’esecuzione di movimenti di estensione del polso o prono-supinazione dell’avambraccio. Ciò può essere confermato da alcuni test specifici:
- Test di Mills: flessione passiva del polso:
- Test di Cotzen: estensione attiva contro resistenza del polso:
- Test di Palpazione dell’epicondilo: pressione applicata nel punto di inserzione dei muscoli epicondiloidei durante movimenti attivi di gomito polso e dita ad opera del paziente.
Diagnosi Strumentale e Differenziale: utili per confermare ed approfondire la Diagnosi Clinica. I più comuni tipi di indagine strumentale utilizzati nello studio dei sintomi dell’epicondilite sono:
- Ecografia Tendinea (con Color o Power Doppler): per valutare lo stato di degenerazione endo e peritendinea
- Radiografia: per evidenziare eventuali calcificazioni o presenza di artrite
- Risonanza Magnetica: nei casi di sospetto coinvolgimento cervicale
- Elettromiografia: per escludere compressione nervosa del plesso brachiale
Terapia :
Il trattamento dell’ epicondilite è quasi sempre di tipo conservativo.
In fase acuta prevede il riposo, l’utilizzo di FANS e Terapie Fisiche a scopo antinfiammatorio, antidolorifico e antiedemigeno (crioterapia, ultrasuoni, ionoforesi, Laser Hilt, Tecarterapia). Le iniezioni di corticosteroidi, l’Agopuntura e la Mesoterapia forniscono effetti benefici a breve termine.
In fase post-acuta viene impostato un programma specifico di rieducazione funzionale, spesso abbinato all’ applicazione di un bendaggio funzionale, Kinesiotaping o all’ausilio di Ortesi controrotanti.
Tutte terapie indicate vengono eseguite presso Bianalisi Fisiomedical da medici e fisioterapisti dalla comprovata esperienza pluriennale.
Gli obiettivi della rieducazione funzionale sono quelli di aumentare l’elasticità e la flessibilità della muscolatura, ridurre gli effetti dannosi dovuti ad allungamenti improvvisi ed eccesivi e favorire la coordinazione dei movimenti.
Spesso viene associata la Terapia Manuale (massaggi trasversi profondi, connettivali o trattamenti di eventuali Trigger Points Miofasciali).
Fin da subito è necessario prendere in considerazione la modifica della postura e del carico di lavoro (lavori faticosi manuali) mantenendo l’arto interessato a riposo durante la fare acuta.
Negli ultimi anni sono stati dimostrati i vantaggi dati dalla Terapia con Onde d’Urto che, talvolta, può scongiurare l’intervento chirurgico.
Nel circa 5% dei casi, la sintomatologia può non risolversi in un periodo compreso tra i sei mesi ed un anno ed essere resistente ai trattamenti prima elencati. In tal caso il medico può ricorrere alla Terapia Chirurgica (percutanea, artroscopica o incisionale).
Essa deve basarsi su alcuni obiettivi primari: indentificare il danno, asportare il tessuto danneggiato salvaguardando le parti sane e l’esecuzione di un’accurata Riabilitazione Post-Operatoria. Quest’ultima ha una durata di circa tre mesi ed il ritorno all’attività sportiva può avvenire tra il quarto e il sesto mese, non prima comunque che sia stata ripristinata una buona forza muscolare.