

Negli ultimi anni ha assunto una sempre maggiore importanza diagnosticare correttamente la presenza di una pervietà del forame ovale, ormai conosciuta anche con il termine inglese Patent Foramen Ovale o PFO. La ragione risiede nelle problematiche cliniche legate alla persistenza in età adulta di questa caratteristica anatomica propria dell’epoca fetale. Il PFO, infatti, sta via via assumendo sempre maggiore rilevanza, soprattutto per quanto riguarda il rischio di eventi ischemici cerebrali anche in età giovanile.
Cos’è il PFO?
Il PFO non è una vera malformazione cardiaca, ma il persistere di una caratteristica fetale del cuore. Il PFO è una apertura di forma ovale, ricoperta da un lembo di tessuto che si appoggia sul margine sinistro del foramen stesso. Il PFO permette il passaggio del sangue dall’atrio destro all’atrio sinistro e quindi nella circolazione arteriosa generale, passaggio chiuso in età adulta. Dopo la nascita questo lembo di membrana aderisce al setto atriale e il passaggio di sangue dall’atrio destro all’atrio sinistro è impedito definitivamente.
Frequenza di PFO
In 1/4 della popolazione italiana (circa 15 milioni di persone), però, la chiusura non avviene. Il 70% di questi 15 milioni di persone in cui il forame ovale pervio non si chiude, non avranno mai un sintomo per tutta la vita. In situazioni particolari, tuttavia, nel 30% dei soggetti con PFO può verificarsi l’apertura del forame ovale in seguito a un aumento della pressione intratoracica causato, per esempio, durante una manovra di valsalva, o colpi di tosse, o conati di vomito. In questi casi può verificarsi un passaggio paradosso non solo di sangue, ma anche di trombi, dal settore destro a quello sinistro del cuore, che possono ostacolare il flusso di sangue ad organi come il cervello che tollerano male l’ischemia.
Quando sospettare la presenza di PFO
Vi è ormai accordo scientifico internazionale che il PFO va ricercato in caso di:
- Ischemia cerebrale (TIA-ictus)
- Malattia da decompressione
- Emicrania con aura
Vi sono però molte altre situazioni in cui un PFO viene sospettato, causando così allarmismo e condizionando le normali attività lavorative oppure ostacolando la pratica di alcune discipline sportive. Esistono difatti soggetti potenzialmente a rischio: circa il 15-20% di quei 15 milioni di persone che soffrono di quest’anomalia cardiaca congenita.
Si sono, così, individuate alcune classi di persone, che andrebbero sottoposte a indagine diagnostica.
- Anzitutto, i soggetti che presentano ipercoagulabilità, un difetto congenito della coagulazione, tale per cui il sangue è più spesso e tende a formare più coaguli.
- Poi, gli individui di sesso femminile con antecedenti di tromboflebiti o di trombosi delle vene degli arti inferiori, che hanno nel sangue venoso tantissimi trombi.
- A rischio anche coloro che svolgono attività pericolose, come gli istruttori di sub e i sommozzatori dilettanti, che presentano la malattia da decompressione: l’immersione aumenta la pressione e il flusso del sangue nell’atrio destro e inverte il passaggio.
- Infine, gli sportivi che praticano attività a livello agonistico che richiedano grandi performances, tipo i sollevatori di peso che compiono una manovra di Valsalva continua durante i loro esercizi, a causa dell’aumento del ritorno venoso al cuore dovuto allo sforzo fisico.
Esami diagnostici per lo screening di PFO
In caso di sospetto clinico-anamnestico, è indicato effettuare esami diagnostici diretti sia a verificare la predisposizione a produrre trombi ed emboli, che tesi a dimostrare la presenza di un passaggio anomalo di sangue dalle sezioni cardiache destre a quelle sinistre.
Nei soggetti giudicati a rischio è quindi indicato effettuare:
- Esame sangue completo (emocromo con formula e piastrine, aptoglobina, protidemia totale, sideremia, creatininemia, glicemia, GPT, GOT, esame delle urine, colesterolo totale, colesterolo HDL, trigliceridi, uricemia, VES, PCR, fibrinogeno, ANA, anti ENA, C3, C4, proteina S, antitrombina III, resistenza proteina C attivata, omocisteina, CEA, GICA, Ca 19-9, markers epatite, fattore reumatoide, FT4, TSH, PT, PTT, INR)
- Test genetico per la ricerca dei geni relativi al fattore V di Leiden, al fattore II della coagulazione (protrombina) e il gene MTHFR (metilentetraidrofolatoreduttasi).
- Ecocardiogramma trans-toracico con ecocontrasto costituito da soluzione fisiologica “agitata”
- Doppler transcranico, tecnica non invasiva e ugualmente sensibile rispetto alla ecografia trans esofagea per l’identificazione di eventuali passaggi paradossi di sangue attraverso il PFO (Linee Guida SPREAD 2010).
L’iter diagnostico può essere completato con:
- Eco-Doppler dei tronchi sopra-aortici
- Eco-Doppler venoso degli arti inferiori